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Archive for gennaio 2010

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

19 gennaio 2010 2 commenti

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Verrà la morte e avrà i tuoi occhi –
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

(C. Pavese)

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Tutto sarà bene (And the fire and the rose are one)

12 gennaio 2010 13 commenti

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IV

La colomba che discende fende l’aria

con fiamma di terrore incandescente

le cui lingue dichiarano

la sola remissione da peccato e errore.

La sola speranza, o disperazione

è nella scelta di pira o pira –

per esser redenti da fuoco col fuoco.


Chi dunque escogitò il tormento? Amore.

Amore è l’estraneo Nome

dietro le mani che tesserono

l’intollerabile maglia di fuoco

che potere umano non può togliere.

Noi soltanto viviamo, soltanto sospiriamo

se consumati da fuoco e fuoco.


V

Ciò che chiamiamo principio è spesso la fine

e porre fine è dar principio.

La fine è là onde partimmo. E ogni frase

e sentenza che sia retta (dove ogni parola è a casa,

prendendo il suo posto a sorregger le altre,

la parola non diffidente né ostentata,

naturalmente partecipe del vecchio e del nuovo,

la comune parola esatta senza volgarità,

La formale parola precisa ma non pedante,

perfetta consorte unita in una danza)

ogni frase e ogni sentenza è una fine e un principio,

ogni poema un epitaffio. E qualunque azione

è un passo verso il patibolo, verso il fuoco, verso la gola del mare

o verso una pietra illegibile: è di lì che noi partiamo.

Noi moriamo con chi muore:

guarda, essi partono, e noi andiamo con loro.

Noi nasciamo con chi muore:

guarda, essi ritornano, e ci portano con loro.

Il momento della rosa e il momento del Tasso

hanno eguale durata. Un popolo senza storia

non è redento dal tempo, poiché la storia è una trama

di momenti senza tempo. Così, mentre la luce vien meno

in un pomeriggio d’inverno, in una cappella appartata

la storia è adesso e Inghilterra.


Con la forza di questo Amore e la voce di questa Chiamata


noi non cesseremo l’esplorazione

e la fine di tutto il nostro esplorare

sarà giungere là onde partimmo

e conoscere il luogo per la prima volta.

Attraverso l’ignoto, rammemorato cancello

quando l’ultima terra da conoscere

sia quella che era il principio;

alle sorgenti del fiume più lungo

la voce della cascata nascosta

e i bambini tra i rami del melo

non noti, poiché non attesi

ma uditi, uditi appena nel silenzio

tra due onde di mare. Su

presto, qui, ora, sempre –

Una condizione di completa semplicità

(che costa non meno di ogni cosa)

e tutto sarà bene e

ogni sorta di cose sarà bene,

quando le lingue di fiamma si incurvino

nel nodo incoronato di fuoco

e il fuoco e la rosa siano uno.

(T. S. Eliot, Four Quartets, Little Gidding)

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Sogno sul mare

7 gennaio 2010 1 commento

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– Sogno sul mare –

E il mare e la tempesta agitavano la nostra barca;

Io, assonnato, mi abbandonavo al capriccio delle onde.

Due infiniti erano dentro di me,

giocavano con me a loro piacere.

Intorno a me come cembali risuonavano gli scogli,

si chiamavano i venti con grida, e cantavano le onde,

io giacevo stordito nel caos dei suoni,

ma sul caos dei suoni si innalzava il mio sogno.

Risplendente, morboso, incantato e muto,

leggero spirava sulla risonante tenebra.

Nell’ardore della febbre creava il suo mondo:

la terra verdeggiava, scintillava l’etere,

giardini-labirinti, palazzi, colonne,

e brulicava una folla di esseri silenziosi.

Riconobbi tanti volti a me sconosciuti,

vedevo creature di incanto, uccelli misteriosi,

sull’alto del creato camminavo come un dio,

e immobile sotto di me risplendeva il mondo,

ma attraverso tutti i sogni, come il grido di un mago,

mi arrivva il rimbombo dell’abisso marino,

e nella calma plaga delle visioni e dei sogni

irrompeva la schiuma delle onde ruggenti.

(F. I. Tjutčev)

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Il sogno della farfalla

5 gennaio 2010 2 commenti

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[…]

« Certi sognano banchetti, e al risveglio piangono; altri piangono in sonno, e all’alba partono per la caccia. Gli uni e gli altri nei loro sogni non sanno di sognare e a volte sognano di sognare. Soltanto al momento del risveglio sanno di aver sognato. E solo al grande risveglio sapremo che tutto non è stato che un sogno. La folla ignorante si crede desta quando distingue il principe da un pecoraio. Quale pregiudizio!

« Kong-zi e voi stesso, non siete che sogni. Io vi dico che sognate, e anche questo è un sogno. »

Queste parole sono straordinarie e paradossali. Nei secoli a venire un grande saggio le capirà, un giorno. Questo giorno verrà così rapidamente come la sera segue il mattino.

[…]

Una volta Zhuang Zhou sognò che era una farfalla svolazzante e soddisfatta della sua sorte e ignara di essere Zhuang Zhou. Bruscamente si risvegliò e si accorse con stupore di essere Zhuang Zhou. Non seppe più allora se era Zhou che sognava di essere una farfalla, o una farfalla che sognava di essere Zhou. Tra lui e la farfalla vi era una differenza. Questo è ciò che chiamano la metamorfosi degli esseri.

(Zhuang-zi [Chuang Tzu], II)

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Jan Švankmajer

Alice

Dimensioni del dialogo

4 gennaio 2010 Lascia un commento

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Jan Švankmajer

Dimensions of Dialogue, Part II

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Il funambolo

4 gennaio 2010 1 commento

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Verrà l’oblio su noi

Col passo liquido dell’essenza

Perché possa una volta ancora

Del primo stupore inebriarmi

E respirarti nuova.


Verrà l’oblio su noi

Per ritrovarci ancora.


È d’un momento, ecco

– Sistro tremendo –

L’incoscienza suprema

– Stridio di sogno su sogno –

Che vibra da sfondate midolla.


Ecco – questa notte

che s’innerva e s’inanella

Speculare.

Queste dita di conchiglia

Tese fino all’agonia

Verso il timpano del Nome.

Questo respiro di funamboli

Che s’inarca indecifrabile.

Questa promessa sconfinante

Resa all’infanzia di palpebre mareggianti.


Qui – la stessa di vite

Sfinite.

                              Ritrovata.

Nuova.

Nell’istante che

                                 Abbandono

Per ritrovarci ancora.

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Il dio morente (..If sorrow had not made Sorrow more beautiful than Beauty’s self)

3 gennaio 2010 Lascia un commento

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In fondo a triste e ombrosa valle

lontano dal fresco fiato del mattino,

dal fiero meriggio, dalla stella del vespro,

era Saturno dai capelli grigi: un quieto sasso,

un silenzio immoto a cerchio del suo covo,

foresta su foresta sospese sul suo capo

come nube su nube. Né fruscio d’aria,

né vita quanta in un giorno estivo

ruba un lieve seme a piume d’erba,

ma dove cade la morta foglia resta.

Un rivo fluiva muto, ancora più cheto

perché la caduta divinità spandeva

ombra: la Naiade tra le canne

il freddo dito premeva sulle labbra.


Sulla renosa riva grandi orme correvano,

non oltre dove vagò il suo passo, e lì dormiva.

Su terra umida posava la vizza mano,

sfibrata, fiacca, morta, senza scettro;

e gli occhi spodestati chiusi;

mentre a capo chino forse Terra ascoltava,

l’antica madre, ancora per conforto.


Sembrava che nessuna forza l’avrebbe smosso,

ma venne colei che con mano sorella

toccò le ampie spalle, dopo un inchino

reverente a chi non s’avvedeva.

Era una Dea del mondo infante;

per statura a suo petto l’alta Amazzone

un pigmeo sarebbe: ghermire potrebbe

Achille per la chioma e piegargli il collo;

o con un dito fissare la ruota d’Issione.

Il volto largo come sfinge di Menfi,

sopra un piedistallo forse in corte regia,

quando i saggi all’Egitto chiedevano lume.

Ma oh! quanto diverso dal marmo era quel volto:

quanto bello se il dolore non avesse fatto

Dolore più bello di Bellezza stessa.

[…]

(J. Keats, Hyperion, I)

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